La rivincita del Greco di Tufo passa anche dal Giallo d’Arles 2018 di Quintodecimo

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Ad Arles van Gogh aveva scoperto la luce, la potenza del sole, l’importanza del giallo capace di esprimere nei suoi dipinti tutta la profondità della sua arte. Ad Arles, nella sua ”La camera di Arles¤” dell’ottobre 1888, Vincent van Gogh allenta finalmente le briglie della sua abilità tecnica lasciando vibrare tutto il suo straordinario talento: niente più puntini, niente più tratteggi, niente, solo colori in armonia. Ed è proprio qui che il suo giallo diviene davvero particolare, un giallo unico, preludio del rosso, il Giallo d’Arles…

Il Greco di Tufo è forse il vino bianco più rappresentativo della Campania, tra i primi, già negli anni ’70 a fregiarsi della doc e a varcare la soglia regionale e sbarcare così in tutto il mondo. Tutto nasce in un territorio abbastanza circoscritto in provincia di Avellino, siamo in Irpinia, dove sono infatti solo 8 i comuni ammessi alla produzione del Greco di Tufo: oltre a Tufo, che dà anche il nome alla denominazione, oggi docg, vi rientrano Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni.

Il protagonista è quindi il Greco, un vitigno abbastanza complicato da coltivare ma soprattutto di difficile gestione in cantina: ha generalmente un grappolo compatto, buccia sottile, un ciclo vegetativo piuttosto lungo, nulla di più complesso da gestire in vigna soprattutto con le attuali condizioni climatiche estremamente variabili che sembrano promuovere attacchi parassitari, muffe e deficit di maturazione dell’uva. Che poi da molti tecnici viene considerato un rosso vestito di bianco, per la cura e le attenzioni che richiede anche in vinificazione, con mosti sempre molto ricchi, contraddistinti da spiccata acidità, generalmente caratterizzati da un colore cupo che varia tra il bruno e il marrone, peraltro particolarmente sensibili all’ossigeno e alle filtrazioni che già di loro incidono considerevolmente nella piena salvaguardia del patrimonio organolettico di un vino.

Anche per questo molti vini vengono generalmente vinificati e affinati esclusivamente in acciaio, così da limitare le movimentazioni delle masse in cantina e preservarne così, il più a lungo possibile, soprattutto l’integrità aromatica e la freschezza gustativa a discapito forse di operazioni che ne favoriscano la struttura e magari un più ampio potenziale espressivo. Una visione questa che non ci sentiamo certo di condannare, che ha però indubbiamente tenuto a freno per molti anni il reale potenziale di questo vitigno e questo straordinario territorio lasciando nel tempo emergere altre varietà e altri vini bianchi campani che si sono poi velocemente imposti sul mercato.

Pensiamo al lungo successo, a tratti abbagliante, del Fiano di Avellino, vino che ha vissuto con grande slancio due decenni pieni di successi, tra gli anni novanta/duemila e poi, ancora, in quelli successivi il duemiladieci, allargando di parecchio la sua ombra proprio sul Greco, non fosse altro per la contigua provenienza territoriale irpina; più recentemente, per citarne ancora uno di esempio, anche la Falanghina ha saputo ben affermarsi, con i numeri del Sannio e la tipicità dei Campi Flegrei, sottraendo anche in questo caso fette di mercato un po’ a tutti gli altri vini bianchi campani sulla scena.

Ma il Greco sa essere molto altro, se appare infatti timido e dimesso nei suoi primi anni, con buone velleità evolutive per 4/5 anni, diviene praticamente immortale quando viene interpretato al meglio, a partire certo dalla vigna, non senza passare però da una fase di lavorazione che richiede accortezza, conoscenza e mezzi tecnici in cantina affinché a finire in bottiglia ci arrivi solo il meglio, tirando fuori così vini con profumi ampi e suggestivi e un sapore intenso e sempre coinvolgente, dal respiro originale, profondamente gratificante nella beva, proprio come ci ha abituato, tra gli altri, anche Luigi Moio nelle sue raffinate ”letture”, ogni anno sempre più affascinanti e stimolanti.

Questo di Quintodecimo è un vero e proprio Cru prodotto con le uve provenienti dalla tenuta del Giallo d’Arles di Tufo, 12 ettari piantati tutti a Greco, allevati a Guyot, da dove ci sembra venire fuori, con questo duemiladiciotto, una delle più autentiche loro versioni di Greco di Tufo degli ultimi anni; un vino dal colore luminoso e invitante, che sa di pesca gialla e pompelmo, di caprifoglio e citronella, dove emergono perentorie il frutto e il territorio, proprio grazie alle abilità tecniche¤, la profonda conoscenza del territorio e del varietale, l’uso intelligente e misurato del legno, che consentono a Moio di portare in bottiglia tutta l’anima e l’energia di questo pezzo d’Irpinia, intessuti, potremmo dire, senza più puntini, niente più tratteggi, nessuna sovrastruttura ma solo grande armonia, come fossero un lungo e prezioso filo ritorto del bisso!

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© L’Arcante – riproduzione riservata

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